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Alessandro Di Gregorio: un artista testimone dei nostri tempi

  • Zaira Daniele
  • 12 ott 2015
  • Tempo di lettura: 14 min

Simbolismo e surrealismo, ansia e grido, mistero e rivelazione, nell’attualità dell’indagine psico-sociologica della sua arte, in una fotografica monocromia “insostenibile” di luci e ombre. di Zaira Daniele

Siamo di fronte a un caso sorprendente di espressività artistica veicolata da soluzioni formali di grande impatto visivo, un’arte che entra con prepotenza nel cervello e sconquassa gli animi con la forza immediata dei suoi messaggi: Alessandro Di Gregorio, un artista colto e sensibile, testimone attento e critico del suo tempo, che nella sua arte esprime sé stesso, le proprie perplessità e gli umani interrogativi, facendone un caleidoscopio attraverso cui guardare e indagare la realtà. Dopo un felice esordio espressionista in cui forte era la suggestione degli espressionisti storici come Nolde, Kokoschka, Schiele, che tuttavia ritorna in alcune opere recenti, l’artista Alessandro Di Gregorio sperimenta un nuovo registro pittorico che cifra la sua agognata identità artistica, rappresentando un momento fertile e sicuro nel cammino della sua ricerca ansiosa, di uomo e di artista. Si tratta di una pittura fortemente emotiva che si rivolge direttamente alla psiche dello spettatore come un monito a guardare attraverso una lente d’ ingrandimento dentro la banale realtà delle cose alla ricerca di un senso ancora possibile, e come denuncia in forma cronanchistica della mancanza di sentimento che accompagna quella folle eccitazione degli uomini nella fredda logica meccanica dei loro comportamenti, in un mondo in cui la dimensione puramente estetica sembra essere la sola alternativa al vuoto morale e all’alienazione dell’uomo contemporaneo che nel rituale abbandono ai piaceri della carne sfoga le proprie incertezze e le proprie mancanze. Una pittura di una modernità agghiacciante per il suo contenuto spirituale e sociale, che usa finemente gli strumenti della psicoanalisi, operazione comune a molti artisti contemporanei, per studiare e riportare freddamente le dinamiche relazionali e i comportamenti automatizzati degli uomini nella quotidiana alienata teatralità della vita odierna, come fa un grande maestro quale è Alberto Sughi; ma Di Gregorio nell’intento di denunciare il vuoto morale dell’indifferente recita abitudinaria che muove la convenzionalità dei rapporti -e lo fa attraverso un grido disperato e silenzioso- non si ferma alla registrazione esteriore dell’apparire, descrivendo situazioni sociali di non comunicabilità della vita quotidiana, dove le persone agiscono freddamente rimanendo nell’anonimato del proprio tipo, egli invade col suo occhio indiscreto l’intimità dei suoi personaggi, violandone il segreto mistero, entra violentemente nei loro spazi privati, spiandone i gesti e i pensieri, e munito di cannocchiale mette a fuoco le immagini, zummandole, ed estraendole dal contesto, dall’ambiente in cui esse si svolgono, per restituirle e parteciparle attraverso la tela allo spettatore. Sono spezzoni di realtà, scene che si svolgono al buio, nella penombra, dove i confini tra realtà e immaginazione si perdono, e il desiderio alimenta le nostre visioni. Nel mondo della pura intimità, l’occhio che grazie alla luce vede, è dunque, il principio della violenza, è il senso sezionatore che trasforma l’interno in esterno e che, con la sua ansia orfica di guardare, perde l’oggetto del proprio infinito desiderio, e in questo senso l’artista ha commesso una violenza sui suoi personaggi. La dimensione poetica della pittura di Di Gregorio, lo spazio in cui si muovono i suoi personaggi, in cui si generano le immagini-visioni dell’artista è il buio, la notte, seppur intesa simbolicamente, generatrice di sogni e di incubi, dove le immagini spogliate della loro gamma cromatica sono ridotte all’essenzialità dei colori bianco e nero, le cui tonalità sono ritmate da una luce assordante che sembra provenire fuori dal quadro per irrompere nella privasi della scena. La luce artificiale è usata in modo caravaggesco per colpire trasversalmente con aggressività le figure che si stagliano sul tipico fondo nero, e ha una valenza simbolica. Questa luce fredda e livida, che caratterizza la pittura di Di Gregorio, e le ombre esagerate e a volte ingombranti unitamente all’iconografia insolita e turbante dei suoi quadri, generano in chi guarda effetti estranianti e uno spaesamento che rivela una chiara matrice surrealista. Le immagini dipinte da Di Gregorio pur confondendosi e fondendosi nell’oscurità, sono descritte con nitidezza fotografica, verosimiglianza anatomica e attenzione all’espressività, sono fotografie in bianco e nero ritoccate artisticamente, figure riprese in primo piano, che giganteggiano nella scena, inserite in uno spazio di taglio non facile che continua, a volte rompendo bruscamente la cornice, al di là del quadro proprio come in una fotografia che dà il senso della continuità dello spazio e dello svolgersi della scena raffigurata. Le figure a volte si appoggiano al bordo della cornice, quasi schiacciate e oppresse dallo spazio angusto del quadro che si restringe glaustofobicamente in un ingombro minimo. Sono donne, coppie, maschere, oggetti che vivono in un loro mondo, in una solitudine che De Chirico definiva “metafisica”, in una indefinita e indefinibile ora del giorno, che noi simbolicamente abbiamo voluto identificare con la notte, avvolti da un’atmosfera sospesa e misteriosa, dove il tempo si solidifica in una sorta di presente assoluto, immagini immerse nell’immobilità del silenzio che sembrano nascondere qualche verità. Le immagini sono riprese da angolature insolite che stravolgono la tradizionale scala prospettica con intento estraniante suscitando nello spettatore un senso di glaustofobia, come è evidente nei dipinti Winding stair e Guys & Dolls, composizioni di tipo surrealista pervase da un’atmosfera sospesa e misteriosa, in cui sfugge il senso logico di certi accostamenti o di certe riprese. Le scene rappresentate dall’artista Alessandro Di Gregorio, pur derivando dal comune tessuto della realtà, sono, come lui stesso le definisce delle “alter-azioni”, momenti, attimi di esistenza che avvengono in realtà altre, dove l’io si rifugia e spazia libero nei profondi abissi dell’infinito perso nel vortice delle sue divagazioni fantastiche, fuori dal normale fluire della vita e dalle prigioni delle sue esteriorità, “alte-razioni” rese attraverso la logica estraniante di una “in-sostenibile” monocromia che caratterizza i suoi dipinti, che ipnotizza e fissa lo sguardo. Il nostro artista indaga la psicologia umana filmando i movimenti delle persone nei momenti di solitudine, quando liberi da maschere, si abbandonano al flusso delle loro umane fantasie, e nei momenti che precedono l’amplesso, quando la passione brucia nel fuoco della carne, nell’estasi di un attimo estrapolato dalla realtà, mentre il mondo intorno continua a girare nella follia dei suoi giochi. Con un faro accecante, egli, sorprende i suoi personaggi nudi nel groviglio della passione, illuminando di scatto con una luce artificiosa quegli angoli bui e segreti, dove i particolari si confondono nell’intrigo erotico dei corpi aggrovigliati, e si perdono nell’indefinitezza del fondo scuro. Ricorrono con insistenza nella pittura di Di Gregorio le immagini di coppie, corpi che si uniscono, di cui spesso sono fotografati solo alcuni particolari tralasciando il volto, in luoghi oscuri indefiniti, caverne nascondiglio, rifugio silenzioso di passioni irrisolte, ove il mondo è ombra assoluta, esse evocano non il mistero dell’amore o l’enigma della seduzione, ma semplicemente la dualità, ovvero l’angosciosa perdita dell’unità originaria. Nel dipinto Removal Approach (A hymn to desirous love) e in Solitudine II, caratterizzato quest’ultimo da una pennellata materica che rende la superficie della tela ruvida, l’immagine è volutamente tagliata sopra e sotto per porre l’accento non sulle persone che rimangono anonime ma sull’azione, sull’incontro fisico dei corpi, che le carica di una squisita vis erotica avvolgendo la scena descritta solo parzialmente di impalpabile mistero e collocandola in una dimensione assoluta. E’ la sublimazione del momento erotico, che viene astratto dal tempo e dallo spazio e descritto come evento in sè, attimo di sospensione, distaccato dalla sfera umana dei sentimenti, forse come illusione di un’alternativa agognata al vuoto di questi. In Ecstasy–Agony (vampire), la presenza maschile si perde nell’ombra occupando un ruolo secondario nell’economia della scena, tutta l’attenzione è concentrata sulla donna che domina il gioco erotico di cui l’uomo è solo l’imput, oggetto fisico da cui la donna attinge energia, per liberare la sua essenza e sprigionare la sua prepotente sensualità, inondata da un fascio di luce lunare, tagliente che plasma morbidamente il corpo dando ad esso una forte qualità tattile e rendendo la sua pelle liscia e vellutata; il personaggio femminile, come posto sotto le luci di un riflettore sul palcoscenico si eleva dall’ombrosità confusa della scena che rimane a tratti equivoca, e le sue forme prosperose emergono decise dall’ombra comunicando il desiderio sessuale con la loro gravida carnosità. Il volto della donna trasfigurato dalla luce accecante non lascia trasparire l’umanità del suo carattere ne i sentimenti, l’espressione è allucinata e lo sguardo fisso e conturbato come quello di un essere demoniaco e le labbra grandi e carnose e la folta chioma dei capelli lunghi scompigliati ne accentuano l’aggressiva sensualità, avvicinandola per le somiglianze fisiche e espressive alle donne rossettiane, creature erotiche e lussuriose, belle e crudeli, riflesso di un’inqietudine inesorabile in cui si incarna la tipologia della “femme fatale”, uno dei temi dominanti della visione simbolista e decadente di fine ottocento, portato poi alla massima espressione da Klimt. Quest’immagine della donna che spesso si ritrova nella pittura contemporanea, testimonianza della inquieta sensibilità dei nostri tempi e di un mutamento dei costumi e del pensiero prende piede con originalità espressiva nell’universo artistico di Alessandro Di Gregorio, in quel suo mondo fantasmagorico e allucinato, pervaso da un visionarismo nero, ma che non smarrisce mai la lucidità appolinea nella sua analisi del reale, in cui alla donna è riservato uno spazio privilegiato. Nel quadro Sensucht protagonista è sempre la donna di cui sono messe in evidenza attraverso la luce le rotondità del corpo, mentre una mano nervosa e assassina lo trattiene misteriosamente da dietro penetrando la carne con le dita, unico elemento della presenza maschile nella scena; la donna, rapita dall’estasi ha il viso schiacciato all’indietro con i capelli che scendono sensuali, e il corpo mosso dall’ondeggiare di una linea sinuosa ed elegante esprime l’idea di una danza febbrile, nascondendo in sé la sotterranea nevrosi a cui è in preda la donna. Di grande suggestione è inoltre il dipinto Model no.1 (Sonia), in cui dentro una cornice stretta è contenuta l’immagine delicata e sensuale di una donna colta nella sua intimità mentre riposa o fantastica con gli occhi socchiusi, sorpresa da una luce algida e scrosciante che le inonda il capo e il seno messo bene in evidenza. Le forme del corpo modellate dalla luce seguono un linearismo elegante con una lieve tendenza serpentinata, e assumono una spiccata qualità plastica che conferisce all’immagine una solidità scultorea; le superfici lisce ottenute con una trattazione tecnicamente consapevole del colore steso con un tocco leggero che riesce a rendere efficacemente il senso dell’incarnato, e lo straniante punto di vista frontale e ribassato da cui è ripresa l’immagine rendono quest’immagine dipinta molto simile, per il sofisticato virtuosismo scultoreo, alle sculture barocche. Mentre la testa fortemente sublimata e trafitta dalla luce che accentua i tratti decisi del viso e la sottolineatura morbosa delle ciocche di capelli sciolti che la caricano di infinita e raffinata sensualità, avvicinano quest’immagine di donna alla Beata Beatrix di Rossetti o alla Isolde di Khnopoff e anche al volto femminile del dipinto Gli occhi chiusi di Odilon Redon. La figura umana è assunta da Di Gregorio in senso simbolico, come espressione del dinamismo essenziale nel quale si concretizza la vita, e la figura femminile è ridotta a sottile sensualismo sofisticato e sfuggente. Le immagini dipinte da lui dipinte hanno una evidente evocazione musicale, sembrano promanare vibrazioni sonore, la loro forza sprigiona effetti di imprimente musicalità. Di Gregorio attraverso la pittura riesce, similmente ad un bravo musicista a penetrare l’inesprimibile, a tradurre gli slanci dell’anima, a farsi interprete di idee e di simboli di portata universale, con le sue armonie compositive dotate di un forte potenziale sonoro riesce a trasmettere il legame esistente tra mondo fenomenico e mondo dello spirito. Fanno da spartiacque tra la fase espressionista della prima produzione, e la più recente fase in bianco e nero con suggestioni di tipo simbolista e surrealista, la serie delle “solitudini” e quella delle “maschere”, in cui l’attenzione è riposta sugli stati d’animo che l’artista tratta con delicatezza di sentimento e con una forte partecipazione interiore suscitando la tenerezza e la fraterna pietà dello spettatore. Nelle “solitudini”, compare una figura di giovane donna aggomitolata su stessa con il volto chino e coperto dai capelli, personificazione della melanconia e della solitudine che caratterizzano l’universo sentimentale femminile; la posa della donna e la solidità geometrica con cui è costruita l’immagine attraverso l’andamento curvilineo dei contorni, rivelano un’ascendenza cèzanniana; nei quattro dipinti in cui è affrontato questo tema, vi è ancora qualche traccia di colore qua e là, l’immagine è ancora abbozzata espressionisticamente e la pennellata è opaca, a suggellare l’espressionismo dell’originaria matrice dell’arte di Di Gregorio che tuttavia lascia un’impronta significativa nel suo percorso artistico, non vi è ancora il tratto deciso a segnare i contorni delle immagini e quella stesura liscia e lucente del colore che caratterizzano la fase recente in bianco nero. Nelle “maschere” sono espressi quattro tra i principali stati d’animo dell’uomo, definiti dai titoli (Arrogantia, Superbia, Tristitia, Tragoedia), attraverso i faccioni grotteschi delle maschere bianche sospese nel fondo nero che con la loro espressione enigmatica guardano teneramente l’osservatore, chiamandolo in causa e trascinandolo nel loro gioco. Le maschere, allusione al filo sottile che divide la realtà dalla finzione nell’ingannevole mondo delle apparenze, hanno il loro più lontano antenato nelle maschere tragiche del teatro greco che grazie a Ensor trasmigrano nella pittura contemporanea. Di notevole interesse per la sua originalità, è anche la produzione xilografica di Di Gregorio, in cui volti spettrali, ridotti quasi a maschere si distinguono a malapena dall’oscurità del fondo in una composizione tetra e di difficile interpretazione, in cui si avverte l’influenza della scultura negra, cara all’artista. Ma la bravura tecnica dell’artista nella resa fisionomica dei personaggi e la capacità di saper penetrare nella loro psicologia per restituirci la reale espressività del volto, trova la sua massima espressione nella triade dei ritratti che Di Gregorio realizza in omaggio ai tre grandi artisti e intellettuali di Fondi, la sua città natale, dove egli vive e opera: il pittore Domenico Purificato, il regista Giuseppe De Santis e il poeta Libero de Libero; sono tre ritratti in bianco e nero, di uno squisito e impressionante realismo, dove i tratti fisici e l’espressione dei personaggi sono impreziositi e lievemente forzati espressivamente dal tocco elegante e vellutato del suo pennello; a primo impatto sembra di avere davanti ai propri occhi non un’immagine dipinta, ma una fotografia in bianco e nero ritoccata in alcuni tratti dalla mano di un artista per accentuarne l’espressività attraverso il gioco vibrante delle luci e delle ombre. L’occhio indagatore dell’artista, materializzato visivamente nel dipinto di forte carica simbolica Split identity, nella sua ossessionante missione di esploratore nelle caverne dell’esistenza e scavatore nelle viscere dell’animo umano, schiude le porte ai luoghi silenziosi del mistero custodito segretamente nell’oscurità della notte lontano dal caos della vita, dove le anime di un’umanità folle e moralmente disarmata evadono dal mondo per rincorrere vanamente un’ascesa nell’illusione sublimante del momento erotico, nel rapimento dell’estasi, generatrice di effimera felicità. Quella felicità dell’esistere come esorcizzazione della crisi esistenziale e storica dei tempi, che gli esteti di fine ottocento, artisti e poeti, quali Klimt e D’annunzio vedevano incarnarsi nell’abbandono al piacere dei sensi, nell’atto sessuale, generatore di amore salvifico per lo spirito individuale, mentre nel potere consolatorio e appagante della poesia e dell’arte, in grado di elevare l’animo dell’artista ad aure divine, liberando completamente il proprio essere nell’armonica interazione tra l’io e l’es, vedevano il mezzo di salvezza dell’umanità; e in questo senso l’opera d‘arte si ricopre di valenze simboliche, ricorrendo al simbolo per spiegare le realtà nascoste dell’esistenza, oltre il dato sensibile, per rivelare il mistero della realtà agli uomini. L’artista Alessandro Di Gregorio si rispecchia abbastanza in questa concezione estetizzante della vita e dell’arte, sentendo inscindibile il rapporto arte-vita, due mondi che si nutrono l’uno dell’altro, e dalla loro alchemica unione trae alimento la sua anima. L’arte per lui diventa strumento di scavo per far luce sulla realtà e rivelare a se stesso e agli altri che guardano il mistero della vita, nelle pieghe fangose che caratterizzano la realtà oggi, e come lo specchio che regge nella mano la Nuda Veritas di Klimt è il simbolo del potere riservato agli artisti di guardare dentro e mettere a nudo attraverso l’opera d’arte la propria anima, l’enorme occhio lucido dipinto da Di Gregario in Split identità, presenza inquietante, posta in alto, in un angolo dello spazio compositivo, di cui è l’unico elemento, protagonista assoluto del quadro, rappresenta simbolicamente l’artista che grazie alla sua innata sensibilità indaga la psiche dell’uomo, guarda la realtà oltre il “velo di Maia” per rivelarci attraverso la visibilità materica della sua arte, i lati oscuri e nascosti del suo grande mistero. Nel valore simbolico del dipinto Split identity è contenuto in sintesi il senso più profondo della sua operazione artistica e della sua ricerca, la cui comprensione si completa attraverso la lettura di un altro fondamentale dipinto dal titolo Grido!!!, che avendo il suo archetipo nello storico urlo di Munch, pittore dell’angoscia e della paura, molto vicino per le tematiche affrontate agli artisti del nostro tempo, visualizza in modo sorprendente l’acustica del grido, con forti propagazioni sonore che rompono i confini della cornice ed escono fuori dal quadro invadendo lo spazio esterno dello spettatore che viene trasportato nel gioco grave di una atmosfera surreale tenebrosa che il quadro genera, in cui avverti la vertigine di un vuoto senza fine. Il grido è anonimo, come quello dei personaggi munchiani, di cui non sono definiti i tratti e le fattezze umane deformate lasciano il posto ai fantasmi, il volto dell’uomo, dipinto soltanto a metà è reso grottescamente, infatti non è riconoscibile, vi è solo una grande bocca che fuoriesce dal fondo nero, e domina la composizione scarna ed essenziale, esprimendo col grido tutta la disperazione dell’uomo contemporaneo: è il grido del vuoto e del non senso che soffoca l’artista-uomo, pur nella sua condizione privilegiata di artista che nell’arte ritrova il significato perduto dei sentimenti e dei valori in uno spazio spiritualmente sentito, ma pur sempre virtuale, ritagliato dal mondo. Ma in questo mondo buio, in bianco e nero, dove la luce della natura e della vita è spenta, e i colori hanno perso la loro forza, dove le azioni si svolgono all’ombra, in un clima di non chiarezza, di non senso, il mondo dipinto da Di Gregorio, che è il riflesso più amaro del mondo di oggi, nero presagio di un avvenire incerto e senza amore, c’è ancora spazio per la speranza, e il desiderio disperato di un contatto vero con i propri simili, si esprime nell’incontro delle due mani raffigurato nel dipinto Hands (Fatalisme, fate, rebellion), mani che si stringono in solidarietà, seppur nel grigiore consueto dei suoi quadri sotto una luce artificiale, cercando amore. Convinto come lo erano i surrealisti che il cambiamento in termini di riscatto morale della società presuppone necessariamente una trasformazione-redenzione dell’individuo, l’artista vuole dunque, studiare in profondità l’uomo per giungere poi ad una conoscenza della società attuale, perché è dall’uomo che parte la rivoluzione. Una conoscenza, possibile solo dopo un’ indagine capillare della psicologia umana che ne riveli i lati oscuri attraverso la visitazione delle realtà altre che si sovrappongono nella dimensione interiore dell’individuo, all’esistenza tangibile, convivendo con essa, nelle quali l’io rivela se stesso nel libero abbandono alle perverse divagazioni della sua fantasia, esprimendosi nella sua nuda veritas. Nel tentativo di capire l’uomo nella complessità del suo essere e la società, di spiegare il senso di certi indecifrabili meccanismi che regolano la logica comportamentale degli uomini nell’agire della vita quotidiana, ha preso forma nella mente dell’artista un quadro agghiacciante dove i colori non esistono, e le luci e le ombre eccessive violentano lo sguardo e opprimono l’animo; esse sono il riflesso lontano della vera realtà, diventato ora l’unica realtà in cui i suoi personaggi-uomini alienati sono ormai abituati a vivere, e in quel mondo riescono persino a trovare meccanicamente la gioia di un abbraccio o di un amplesso. Un mondo surreale, quello dipinto da Di Gregorio, che nella sua surrealtà ci dà la reale dimensione dell’assurdo e del non senso che muovono i comportamenti degli uomini, spesso imprigionati nella rete dei fenomeni di massa, espressione di una perdita di potenza della propria individualità, di una crisi della propria identità e della sua unità originaria dovuta al vacillare dei valori che ne erano alla base; da qui, dunque, il ricorso ai comportamenti omologanti delle mode, quale rifugio in cui ritrovare un contatto, una sorta di vicinanza spirituale attraverso una forma seppur vuota di solidarietà collettiva che si esprime in una sintonia di comportamenti, non dettati però da una esigenza intima dello spirito, ma che trovano la loro ragione nella forza derivante all’uomo dal riflesso del proprio vuoto interiore nello specchio del grande vuoto che, come un buco nero, opprime la società in cui viviamo. Che cosa sono le figure nere anonime del dipinto Travellers, ombre che mimano gli uomini in situazioni reali e quotidiane, se non gli individui che nel ritmo frenetico e confuso della vita quotidiana sono incessantemente in viaggio verso una meta che non esiste?...In questo mondo fatto di rapporti superficiali, di sguardi incrociati, di estetismi, di forme e di calcoli, non filtra la luce, come testimonia l’oscurità dei dipinti monocromi di Di Gregorio, che sono reinterpretazione pittorica del mondo reale di oggi, quella luce che indica la via, la direzione del nostro viaggiare; un viaggiare, direi vagabondare nel mare nero del vuoto e dell’indifferenza, la cui meta spesso coincide virtualmente con la meta del non senso dove gli individui si incontrano e si confondono con la massa, nella sua illogica meccanica comportamentale. L’opera pittorica del nostro artista, con le sue “Alter-azioni”, costituisce un corpo aperto di testi e di situazioni da interpretare in un infinito gioco labirintico di rimandi, derivazioni, disseminazioni; dietro l’immagine, mimeticamente formata, esiste una densità simbolica, un eccesso di senso, che travalica i confini del logos. La pittura di Alessandro Di Gregorio, virtuosistica e raffinata, azzardando una definizione forse troppo approssimativa e limitata per la grandezza della sua portata, potremo dire, si presenta come una sorta di espressionismo figurativo, moderno ed originalissimo, che trasforma alchemicamente gli elementi della tradizione, fondendo sul piano espressivo, psichico e ontologico, gli echi incancellabili del Simbolismo e del Surrealismo che hanno aperto la strada ad una concezione moderna della pittura, continuando a nutrire di linfa sotterranea come due rivoli di acqua viva che scorrono inarrestabilmente, gli sviluppi del complesso e variegato universo dell’arte contemporanea. Una pittura, dunque, che è ansia e grido, mistero e rivelazione, nella scottante attualità dei suoi messaggi veicolati attraverso un’ indagine psico-sociologica della realtà che si legge dietro le smisurate e talvolta imbarazzanti immagini dei suoi dipinti caratterizzati da una “insostenibile” monocromia; immagini che interagiscono direttamente con il fruitore, trascinandolo, attraverso una segreta comunicazione negli immensi abissi, nei luoghi silenziosi del grande mistero della vita.


 
 
 

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