Il realismo di Rosario Romano: un simbolismo” di luce e colore
- Zaira Daniele
- 12 ott 2015
- Tempo di lettura: 10 min

La pittura di Rosario Romano si inserisce in quel clima di rinascita del figurativo che si sviluppa a partire dagli anni ottanta del novecento come reazione alla retorica delle neoavanguradie e all’esaurirsi della loro potenza innovatrice. Molti pittori avvertono l’esigenza di un ritorno ad un’arte vera, con le sue precipue finalità, recuperando il legame con la realtà e il riferimento alla natura su cui si fondava la concezione dell’arte prima che fosse stravolta agli inizi del XX secolo. Viene dunque ripristinata la tradizione della pratica artistica, attraverso una rivisitazione di molteplici movimenti e realtà artistiche che si fondono alchemicamente nelle diverse espressioni pittoriche odierne. Finalmente il nuovo filone realistico acquista una sua dignità e identità nel panorama artistico contemporaneo e le singole personalità hanno possibilità di emergere, riscattandosi dall’indifferenza della critica, orientata fino a qualche anno fa esclusivamente verso le mode avanguardistiche. Molti pittori realisti contemporanei, come Rosario Romano, traggono linfa dalla grande sorgente del realismo ottocentesco che, attraverso le sue varie e specifiche manifestazioni, si pone come fenomeno nuovo e rivoluzionario rispetto alla pittura accademica, distaccandosi sia dalla concezione neoclassica con cui venivano trattati non solo i temi storici e mitologici ad essa peculiari, ma anche il paesaggio, sia dalla visione romantica che concepiva quest’ultimo in termini poetici, come uno spettacolo da contemplare. Il paesaggio è un lait motiv della pittura realista e dunque della produzione di Rosario Romano, è attraverso il nuovo modo di vedere e di raffigurare esso che i pittori della Scuola di Barbizon negli anni trenta dell’ottocento, definiscono la loro tecnica, rivoluzionando la tradizionale pittura di paesaggio e preparando la svolta all’Impressionismo. Per Rosario Romano come per i “barbizonniers” la natura è corpo vivo in movimento, soggetto a continui mutamenti, che interagisce con l’uomo e che si può rendere in pittura nella sua verità solo conoscendola in profondità e la conoscenza è data, secondo una concezione rousseauniana, non dallo studio scientifico, ma dal sentimento di essa che si coglie solo stabilendo un rapporto simbiotico, vivendola. Il mondo con le sue bellezze naturali, per i realisti, non è uno spettacolo da ammirare, ma un’esperienza da vivere, e la pittura un modo di viverla. La pittura realista di Romano, la sua predilezione per il paesaggio e per la raffigurazione di un mondo bucolico e popolano, nasce da un bisogno di ritornare all’autenticità dei valori, alle tradizioni, fondamentali per la sua cultura napoletana, a un tipo di vita semplice lontano dagli artifici e dalle ipocrisie della società civilizzata e consumistica di oggi, dominata da falsi miti. Alla radice del suo realismo c’è un interesse sociale, il suo rifugio nella natura e nella vita pastorale, come per Gauguin, per i Barbizonniers e per gli impressionisti, risponde ad un rifiuto degli schemi sociali e della artificiosa società contemporanea e dunque ad un’intima esigenza da parte del pittore di ritrovare nella natura quelle sensazioni primitive, autentiche, una società “naturale”; metafora di questa di questa esigenza di purezza e autenticità sembra essere il dipinto Africa di notte, che ci trasmette attraverso un’immagine ritratta dal vero il senso di libertà e spontaneità che caratterizza il modo di vivere delle popolazioni primitive in un’armonica fusione con la natura. Nel dipinto i colori scuri e quasi innaturali e la luce surreale che avvolge la scena paesaggistica al tramonto, esprimono il fascinoso mistero di quei mondi esotici lontani e il misticismo che li anima: attraverso la cromia fortemente espressiva si esprime la valenza simbolista della pittura di Romano. L’uomo, l’artista Rosario Romano, nella bellezza della natura incontaminata vede celarsi la potenza di Dio che è fonte di vita, e attraverso la fusione del mondo umanizzato con l’ambiente naturale che caratterizza le sue scene di vita rurale e popolana in cui si conserva il sapore dei valori antichi, vuole esprimere la gioia della vita, meravigliosa avventura da vivere nella sua pienezza, sottolineata anche dal suo linguaggio pittorico, fatto di colori vivaci, luminosi, fortemente espressivi che producono ilarità. Stando a contatto diretto con la natura e dipingendo spesso “en plain air”, operazione che contraddistingue il fare pittorico dei pittori realisti dalla Scuola di Barbizon agli impressionisti, Romano riesce a tradurre figurativamente, di un particolare “motivo” paesaggistico gli effetti visivi e i contrasti di luce e ombra dovuti al riflesso del sole sugli elementi in termini di verità oggettiva, così come essi si sono impressi nei suoi occhi, con una veridicità sorprendente, facendo rivivere sulla tela ogni minima sensazione in lui prodotta. Nei suoi paesaggi di montagna e nelle sue marine, come in Paesaggio autunnale e in Infinito, ogni elemento è reso nell’immediatezza con cui viene catturato dalla retina, o registrato dalla macchina fotografica, in una particolare condizione di luogo e di tempo, plasmato dalla luce solare che ne definisce la forma e le particolari sfumature di colore, in continuo mutamento e si dispiega in tutto il dipinto determinando la giustapposizione dei chiari e degli scuri, luminose ampiezze di colore vivo e fresco si accompagnano a larghe bande di ombra colorata. La luce, impressa attraverso la pastosità del colore alle forme solidamente costruite, conferisce loro una spiccata qualità tattile dando l’impressione di avere dinanzi ai noi la scena di natura dipinta. Romano, pur possedendo una solida tecnica disegnativa, non vuole tanto fare una dettagliata descrizione naturalistica degli oggetti, quanto rendere il loro carattere di verità realistica in base alle sue impressioni e sensazioni, esaltandone i valori della luce e del colore, e a volte lo fa attraverso la “macchia” che non ci dà la nozione dell’oggetto in sè, ma ci restituisce la sensazione visiva immediata che si ha di esso; di un albero, anche quando non è del tutto definito nei contorni e descritto nei particolari, ma è costruito con larghi tratti di colore chiaro, alternato allo scuro che segue il modulare della luce, sembra di distinguere una foglia dall’altra e di percepirne persino il movimento prodotto dal vento. Contemplando i suoi dipinti di paesaggi, sembrano venirci in mente alcuni dipinti di Rousseau o di Dubigny che ritraggono paesaggi alberati o le vedute costiere dipinte da Carot o da Jongkind o da Bazille avvolte nel silenzio, dove una luce tagliente che trapassa il cielo grigio e la sporadica e discreta presenza umana dà un senso di desolazione alla scena. Romano raggiunge una assoluta intimità con i soggetti, penetrandone progressivamente ogni elemento, a tal punto che i suoi dipinti finiscono con l’identificarsi con l’atto pittorico stesso, è come se il pittore avesse voluto rendere anche il lavorio degli occhi nello sforzo di percepire la realtà esterna. I paesaggi di Romano sono costruzioni di volumi in cui la luce sembra cristallizzarsi nel taglio fermo dei piani, mentre il colore vibrante, steso con una pennellata larga, rapida, risolutiva, definisce con chiarezza la struttura dello spazio pittorico. Lo studio della luce resa attraverso un uso sapiente del colore, atto a rendere le reali tinte della natura in relazione alle condizioni atmosferiche, è un’operazione pittorica che avvicina Romano alle ricerche di quei movimenti artistici, quali la Scuola di Barbinzon, la Scuola di Posillipo, i Macchiaioli sorti tra gli anni venti e sessanta dell’Ottocento, che si pongono alle origini dell’Impressionismo. Alcuni dipinti di Romano con stradine di campagna e attorno casette, montagne e cespugli tipici di uno scenario rurale, o alcuni scorci di paese, ricordano i dipinti impressionisti di Sisley, Pissarrò, Renoir, Monet e dei realisti francesi. Ai primi due soprattutto sembra rifarsi nei paesaggi nevosi, nella resa dei riflessi colorati del sole sulla neve e delle ombre trasparenti. Il motivo delle marine caro all’artista che caratterizza il dipinto Infinito, era molto presente nella pittura impressionista che a sua volta lo mutua, per certi versi, dalla pittura giapponese, pensiamo a “Combattimento nelle navi americane Kersarge e Alabama” di Manet e alle marine di Monet. Memore di un Millet, Romano ama dipingere scene di vita agreste, casolari vecchi di campagna, dove un’umanità contadina descritta mentre si prodiga con dedizione al lavoro dei campi ha il suo punto di riferimento; in Casolare di campagna sullo sfondo di una fattoria immersa nel verde, in una giornata di sole accecante, sono raffigurati dei contadini a lavoro in un campo di grano. Ma Romano va oltre il realismo e la concezione realista e impressionista della pittura come raffigurazione della natura così come essa appare nell’immediatezza all’occhio del pittore, secondo la sua impressione; egli vuole andare oltre le apparenze fenomeniche dell’esteriorità, vuole scendere in profondità e cogliere il valore spirituale della natura, l’essenza, il palpito del Divino, intento preposto dai divisionisti e che accomuna tutti i pittori del post-impressionismo, che esprimono nelle loro opere la poetica simbolista. Similmente a Gauguin e i pittori di Pont Aven, che esprimono attraverso il loro linguaggio sintetista il simbolismo, ma con esiti pittorici diversi che non si discostano dall’ambito figurativo, Romano vede impressi nella natura i segni del Divino ed è convinto che si può assurgere all’Assoluto ed esprimere figurativamente Esso e le realtà altre che noi percepiamo ma che non sono visibili solo attraverso gli elementi tangibili della natura, del mondo visibile. Nel dipinto La vita, in cui è raffigurato un ragazzo che beve alla fonte, l’acqua che è elemento naturale, resa con luminose trasparenze su cui si riflette la luce cristallina del sole, è il simbolo della vita che ci viene da Dio, una luce brillante, eccessiva avvolge tutta la scena come ad evocarne la secreta sacralità. Un’atmosfera estraniante e visionaria marcata dalla luce diffusa ed estasiante, caratterizza il dipinto Ebrezza raffigurante una figura di donna in primo piano sullo sfondo di un paesaggio marino, la donna creatura eterea anche se il suo volto e lo sguardo sicuro tradiscono una fisicità terrena, si fonde magicamente con il mare evocando il dipinto “Occhi chiusi” di Odilon Redon. Il bimbo impaurito dai cavalloni, raffigurato nel dipinto Sublime, esprime simbolicamente l’effetto spaurante prodotto nell’uomo dalla forza della natura, il sublime, e dunque la finitudine umana di fronte alla grandezza divina; la luce anche qui conferisce un’aura di mistero al dipinto evocando il Trascendente. Il veliero in mezzo al mare tempestoso in balia delle onde che è il soggetto di un altro suo dipinto, Infinito, rappresenta l’uomo abbandonato ad un destino di solitudine costretto a lottare contro le asperità della vita simboleggiate dalle onde spigolose e spumeggianti, affidandosi alla Divina Provvidenza; anche qui la luce tersa e a tratti scintillante, imprime un velo di mistero e un senso di infinto alla scena. La luce dunque, con i suoi trapassi tonali di colore, diventa strumento visivo per evocare il Divino che si manifesta nella natura, e il colore che costruisce solidamente gli spazi e plasma le forme sottolineandone la consistenza fisica, conferisce un aspetto solenne e monumentale al quadro. La freschezza, la vivacità, la morbidezza dei colori esprimono la voglia di vivere che è propria del pittore e che è una forza infinita e divina che è nell’uomo e lo trascina. Questa è simboleggiata anche dal cavallo scattante più volte da lui raffigurato, emblema della vita, ricordiamo il dipinto Gioco di cavalli. La pittura di Rosario Romano dunque, è una forma di realismo che guarda per lo stile e l’iconografia alle varie espressioni del realismo ottocentesco, ma si carica dal punto di vista espressivo di un simbolismo tutto personale. Nella produzione di Romano, insieme alla natura, è sempre presente la figura umana in atteggiamenti naturali e in movimento, colta in un contesto di vita quotidiana, alla maniera impressionista, come in Donna al vento, in cui è presente una donna col cappello in un giardino fiorito, anonima nel volto, che ricorda la “Donna con parasole” di Monet. La donna, figura ricorrente nella pittura di Romano, è il simbolo della fecondità e maternità, e dunque metaforicamente è allusione all’arte quale frutto di un atto creativo di riflesso divino, e alla vita stessa con tutto il creato, quale espressione della creazione dell’Onnipotente che tutto orchestra. I ritratti, come possiamo notare in Volto di uomo, sono ben studiati nella psicologia e molto definiti nella forma, i colori brillanti, la precisione dei tratti e soprattutto l’accentuata espressività degli occhi li rendono vivi e sembrano farli uscire fuori dal quadro. Negli scorci di paese sono raffigurate persone del popolo con i vestiti semplici di una volta, a volte in gruppo in un’atmosfera festosa e folkloristica, a volte invece sono colte isolatamente mentre sono intente al lavoro quotidiano, immerse nel loro mondo fatto di tradizioni, di eventi e azioni che si ripetono in una ciclica ritualità, da cui si effonde una poesia malinconica, fatta di piccole cose e valori genuini, come in Longevità – Omaggio a Campodimele, in cui una vecchietta è ritratta in un angolo del paese insieme a due asinelli: sono scene di vita colte impressionisticamente nell’immediatezza del loro svolgersi, che rievocano quelle dipinte dai XXV della Campagna Romana. Accanto ai soggetti che traggono ispirazione dalla sua terra partenopea Romano, da quando vive a Fondi, suggestionato dalle bellezze paesaggistiche del posto, spesso ritrae i luoghi delle campagne fondane e dei paesini limitrofi, scene prese dalla quotidianità e che catturano la sua attenzione e stimolano la sua immaginazione, spaccati di vita contadina e di paese che lui registra sulla tela, a volte arricchendole e trasfigurandole con la sua vis immaginativa; gli stessi luoghi e immagini che ispirarono il genio creativo di Domenico Purificato, cantore della sua Fondi e della Ciociaria. In Donne al ruscello sono raffigurate delle donne che lavano i panni secondo una antica consuetudine locale in una delle tante sorgenti di Fondi, la luce del sole rovente, tipica dei paesaggi ciociari, sembra assorbire di se ogni elemento. I soggetti religiosi si distinguono per la squillante luce degli occhi che sembrano guardare lo spettatore in tutte le direzioni, come un monito ad ascoltare la voce di Dio. Il Cristo, con la testa schiacciata su se stesso e lo sguardo rivolto al cielo, nella sua perfezione formale e per l’enfatizzazione del sentimento mistico impresso nel volto, è quasi un omaggio a Guido Reni. Nella produzione di Rosario Romano figurano molte nature morte e fiori, dipinti con una raffinatezza esecutiva e con una descrizione realista che esalta i particolari alla maniera dei fiamminghi e di Caravaggio; una linea elegante definisce i contorni dando alla composizione un valore decorativo, mentre il colore riprodotto fedelmente e impreziosito di trasparenze rende vivi e solidamente materici gli oggetti, suggerendo al contempo effetti di leggerezza. Nei dipinti di Romano Natura morta, Natura morta con castagne e Cesto con frutta, sembra di rivedere le nature morte e i fiori dei pittori napoletani settecenteschi Giovan Battista Ruppolo e Giuseppe Recco e di leggere la lezione di Chardin maestro in questo genere. Particolarmente suggestive sono inoltre, le raffigurazioni animalesche di uccelli in primo piano, inseriti in una cornice naturale di fiori e foglie resi con piccoli tocchi e macchie di colore vivo e lucente che crea un’ambientazione fantastica, ricordiamo Volatile con nidiata; le immagini, di piccole dimensioni, sono ravvicinate e risultano a tratti sfocate, la composizione è esaltata da un acceso cromatismo di grande impatto emotivo, che ipnotizza l’occhio dello spettatore. La pittura di Rosario Romano rappresenta un mondo fuori dal tempo dove le cose conservano la loro forza primordiale e la verità di natura e una poesia del vero pervade ogni dipinto. Il suo realismo simbolista è una esaltazione della vita e della bellezza attraverso la natura e un inno a Dio che in essa si cela e tutto fa vibrare di sé. I suoi dipinti che sono un’ espressione di gioia e invito a gioire, sono una gioviale testimonianza, di una rifioritura della vera arte, di quella che Mario Mafai ai tempi della Scuola Romana chiamava “La Signora pittura”, che si sta riscattando dal non senso a cui le teorie artistiche contemporanee l’avevano condotta, e in questo contesto pittorico, che sta prendendo lentamente quota, la pittura di Rosario Romano si colloca dignitosamente: in essa si consacra il trionfo del “Bello” che è eterno quanto è eterna l’arte.
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